Con riferimento a queste poste, risulta controversa la questione circa la “rottamabilità” della categoria degli interessi cd. “da sospensione”, ossia quegli interessi maturati a seguito di sospensione amministrativa (art. 39, co. 2, d.P.R. 602/1973) e giudiziale (art. 47, co. 8bis, d.lgs. 546/1992) degli atti riscossivi.

Non di rado, infatti, si verifica la situazione in cui, una volta definita in via agevolata una cartella di pagamento, a suo tempo oggetto di sospensione, l’Amministrazione notifichi l’atto portante il carico relativo agli interessi cd. “da sospensione”, anche a distanza di tempo.

Sul tema sono intervenute diverse sentenze, tra cui quella della Corte di giustizia di II grado della Lombardia (Milano), n. 1365/XIV/2025, depositata lo scorso 28 maggio. 

La fattispecie sottesa alla sentenza de qua concerne somme iscritte a ruolo a seguito della sospensione amministrativa e della sospensione cautelare di due distinte cartelle di pagamento, oggetto di definizione, in via agevolata, da parte della Società contribuente ex art. 1, co. 231 ss., l. 197/2016 (cd. “rottamazione-quater”). 

Secondo l’Amministrazione finanziaria, indipendentemente dalla circostanza che i debiti tributari contenuti nelle cartelle definite mediante la procedura di cui alla cd. “rottamazione-quater” fossero stati definiti, gli interessi maturati nel periodo di sospensione delle predette cartelle erano comunque dovuti, siccome i relativi ruoli affidati – in effetti – all’Agente della riscossione in data successiva al 30/06/2022. In particolare, il Pubblico Ufficio sosteneva la legittimità delle cartelle portanti gli interessi “da sospensione” in quanto non rientranti nel perimetro di applicazione della norma, riservata, a dire dell’Ufficio, esclusivamente ai “debiti risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022”.

In via ulteriore, evidenziando come l’interpretazione letterale della disposizione in rassegna fosse l’unica ammissibile, trattandosi di norma agevolativa e, come tale, eccezionale, l’Agenzia delle entrate affermava la non definibilità degli interessi cd. “da sospensione”, i quali, siccome non espressamente indicati dal Legislatore, non potevano essere assimilati a quelli di mora di cui all’art. 30, d.P.R. 602/1972, avendo i primi natura compensativa e i secondi natura risarcitoria.

Diverso l’approdo cui giunge la Corte di Giustizia tributaria di II grado della Lombardia, che merita di essere segnalato per la ricchezza delle argomentazioni svolte.

Infatti, il Collegio, convalidando la statuizione della Corte di I grado di Milano (sent. n. 4342/VI/2023), respinge le doglianze dell’Amministrazione. In specie, afferma la non debenza dei predetti interessi, ritenendo che la definizione dell’obbligazione principale, per il tramite della adesione all’istituto deflativo, investa anche gli interessi cd. “da sospensione”, per una serie di ragioni, tutte convincenti.

In primo luogo, la Corte di II grado afferma l’identità della natura degli interessi de quibus e di quelli di mora (ex art. 30 cit.). A questo riguardo, nella sentenza in commento si rileva che entrambe le tipologie di interesse “maturano sullo stesso importo capitale, rappresentato dai tributi determinati con l'avviso di accertamento” e che “gli interessi da sospensione si sostituiscono agli interessi di mora per il periodo in cui vige un provvedimento che dispone la sospensione della riscossione”. Sul punto, in modo estremamente chiaro, già la Suprema Corte aveva precisato la natura degli interessi cd. “da sospensione”, affermando che nella nozione di “interessi di mora” rientrano “non solo interessi di mora in senso stretto, ma anche eventuali interessi di sospensione sostitutivi dei primi” (così in Cass., sez. V, 23/02/2023, n. 5693).

La decisione in commento aggiunge, quindi, un ulteriore tassello a quell’orientamento giurisprudenziale di merito (inter alia, da ultimo, cfr. Corte di giustizia tributaria II grado, Lazio (Roma), sez. VI, 25/03/2025, n. 1956) che – a giudizio di chi scrive – interpreta correttamente la normativa, estendendo gli effetti della definizione agevolata anche agli interessi c.d. “da sospensione”, maturati sulle cartelle di pagamento oggetto di sospensione (giudiziale e/o amministrativa), indipendentemente dal momento cui il relativo carico viene affidato all’Agente della riscossione. Tali interessi, infatti, non risultano dovuti in virtù del principio di accessorietà, secondo cui la sorte degli oneri accessori segue quella del tributo principale: una volta definito quest’ultimo con l’agevolazione, anche gli interessi che ne dipendono vengono meno.

Inoltre, sulla base dell’interpretazione letterale dell’istituto di cui all’art. 1, co. 231 e ss., l. 197/2022, i Giudici evidenziano come la disciplina positiva, diversamente dalle disposizioni regolanti le precedenti “rottamazioni”, preveda che il debito a ruolo possa essere estinto versando esclusivamente delle “somme dovute a titolo di capitale” (ossia, le somme dovute a titolo di imposta) e delle somme “maturate a titolo di rimborso delle spese per le procedure esecutive e di notificazione della cartella di pagamento”, senza, pertanto, la corresponsione di ulteriori poste, tra cui gli interessi, a prescindere dalla loro classificazione (art. 1, co. 131, cit.). 

Nella sentenza in commento viene poi valorizzata la ratio “agevolativa” dell’intervento legislativo che ha disposto la cd. “rottamazione”: la finalità incentivante per il contribuente risiede, appunto, nel recupero, da parte della Amministrazione, della sola imposta dovuta e iscritta a ruolo. Una diversa esegesi sarebbe del tutto contraria ad una interpretazione logica dell’istituto, che vedrebbe penalizzati i contribuenti i quali, legittimamente, hanno ottenuto il riconoscimento del diritto ad ottenere la sospensione cautelare (o amministrativa) di un atto della riscossione.

La Corte, infine, argomenta dando evidenza della circostanza che fosse stato proprio l’Ufficio a comunicare “ai debitori l'ammontare complessivo delle somme dovute ai fini della definizione”, come previsto dal co. 241 del citato art. 1. In sostanza, ancorché implicitamente, i Giudici valorizzano il profilo della tutela dell’affidamento posto dal contribuente nella fase del procedimento tributario e della certezza del diritto e del divieto, posto a capo all’Amministrazione, di non venire contra factum proprium, che trovano il proprio fondamento in valori fondamentali della Costituzione, quali il buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.), il principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), il principio di legalità (art. 23 Cost.), nonché il principio di uguaglianza, sotto il profilo della parità di trattamento fiscale e della ragionevolezza (art. 3 Cost.).

In conclusione, la sentenza de qua ha il merito di sintetizzare le argomentazioni a sostegno della tesi per cui gli interessi cd. “da sospensione” non solo non sono dovuti dal contribuente, laddove oggetto di carico affidato all’Agente della riscossione alla data prescritta dalla disciplina agevolativa (in particolare, con riferimento alla cd. “rottamazione-quater” - il 30 giugno 2022), ma anche nel caso gli stessi alla predetta data non risultino ancora iscritti a ruolo.

Considerato, pertanto, che sulla questione si è ormai formato un consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude la debenza degli interessi cd. “da sospensione”, nell’ipotesi di perfezionamento della procedura definitoria, si auspica che lo stesso venga recepito, quanto prima, anche dall’Amministrazione finanziaria.