Il fatto esaminato riguarda una software house oggetto di un recupero effettuato dall’Agenzia delle Entrate, poiché le attività oggetto dell’agevolazione erano state inizialmente ritenute prive di novità e originalità sostanziale. L’Agenzia aveva infatti addebitato alla società una semplice rielaborazione di contenuti preesistenti, giudizio poi ribaltato in secondo grado.
Il nodo giuridico risolto dalla Corte riguarda l’efficacia probatoria della certificazione prevista dalla riforma operata con l’articolo 23 del DL n. 73/2022 (“Decreto Semplificazioni”). Tale articolo ha introdotto la possibilità, per i soggetti beneficiari del credito R&S, di ottenere una certificazione tecnica da esperti iscritti a un apposito Albo, istituito presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che attesti la riconducibilità delle attività svolte ai criteri normativi di ammissibilità. La disposizione ha in particolare stabilito che tale certificazione possa essere richiesta a condizione che le violazioni relative all'utilizzo dei crediti d'imposta previsti dalla disciplina vigente non siano state già constatate con processo verbale di constatazione.
Ai sensi della normativa, la produzione di una certificazione da parte di soggetti accreditati esplica “effetti vincolanti nei confronti dell'Amministrazione finanziaria”, tranne nel caso in cui, sulla base di una non corretta rappresentazione dei fatti, la certificazione venga rilasciata per una attività diversa da quella concretamente realizzata. Viene pertanto prevista ope legis la nullità degli “atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, difformi da quanto attestato nelle certificazioni”.
Con il successivo D.P.C.M. 15 settembre 2023, seguito dal decreto direttoriale MIMIT del 5 giugno 2024, sono stati poi fissati criteri rigorosi per l’iscrizione all’Albo e resi operativi i modelli standardizzati per le certificazioni, che devono essere complete, tecnicamente fondate e indipendenti.

In tale quadro normativo, la Corte ha rigettato la tesi secondo cui la validità del credito d’imposta fosse subordinata al deposito preventivo della certificazione dell’esperto, e al contempo ha valorizzato quest’ultima quale strumento documentale con valenza probatoria anche qualora siano state attivate verifiche fiscali. In particolare, ha stabilito che:

«La certificazione, ancorché redatta in pendenza di contenzioso e successivamente al PVC, non perde di efficacia probatoria, potendo concorrere a dimostrare la sussistenza sostanziale dei requisiti tecnici e scientifici delle attività svolte, ove redatta da soggetto abilitato e fondata su analisi tecnico-metodologiche rigorose.

La perizia, redatta da un certificatore iscritto all’Albo tenuto presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ai sensi del citato D.P.C.M. 15 settembre 2023, è stata quindi ritenuta giuridicamente rilevante benché prodotta in corso di contenzioso successivamente alla notifica del verbale ispettivo.
Tale pronuncia trova oggi un importante rafforzamento istituzionale e normativo nell’atto di indirizzo ministeriale del 1° luglio 2025, firmato dal viceministro Maurizio Leo e dal direttore delle Finanze Giovanni Spalletta. Si tratta di un documento atteso da tempo, che mira a orientare l’azione degli uffici finanziari alla luce delle recenti modifiche normative introdotte dal Dlgs 87/2024. In particolare, l’atto ribadisce la distinzione tra crediti “inesistenti” – per assenza oggettiva dei presupposti – e crediti “non spettanti”, in cui il disconoscimento si fonda esclusivamente su una diversa qualificazione tecnica dell’attività svolta.
Il documento attribuisce particolare rilevanza alla certificazione prevista dalla normativa vigente, la quale può attestare la qualificazione tecnica dell’investimento anche a posteriori, a condizione che non sia già intervenuto un PVC. In questo contesto, l’Amministrazione viene invitata a valutare con attenzione gli atti impositivi che si basino unicamente sulla contestazione della natura tecnica dell’investimento, riconoscendo che in tali casi l’atto può essere affetto da nullità, con potenziali conseguenze sul piano risarcitorio.
In un passaggio chiave, l’atto di indirizzo afferma che, in presenza di uno sforzo di compliance da parte del contribuente mediante la certificazione, l’Amministrazione dovrebbe valutare se procedere in autotutela all’annullamento dell’atto, per evitare che si generi un affollamento nei contenziosi, con sentenze sfavorevoli e condanne al pagamento delle spese processuali o richieste risarcitorie.
Un’altra precisazione significativa riguarda il ruolo delle fonti tecniche: l’atto distingue i casi in cui la contestazione deriva dall’assenza di requisiti previsti dalla legge o dai decreti (ipotesi di credito inesistente) da quelli in cui essa è fondata su manuali o fonti tecniche non espressamente richiamate nella normativa primaria o secondaria (come il Manuale di Frascati per i crediti R&S pre-2020). In questi casi, la contestazione deve essere declassata a credito non spettante, con riflessi diretti sia in ambito tributario che penale.
Un ulteriore elemento chiarificatore riguarda lo spartiacque temporale per l’efficacia della certificazione tecnica. L’atto di indirizzo si sofferma infatti sulla possibilità, per le imprese che hanno già compensato crediti R&S o da investimenti 4.0, di ottenere la certificazione secondo quanto previsto dalla normativa vigente, purché non sia intervenuta una contestazione già formalizzata mediante processo verbale di constatazione (PVC).
Da questo passaggio si desume che il momento determinante non è il rilascio della certificazione, bensì l’invio della richiesta di accesso alla procedura, come disciplinata all’articolo 7 del DM 21 febbraio 2024. In tal senso, un PVC notificato dopo la trasmissione della richiesta non è idoneo a bloccare o annullare l’efficacia della certificazione, che continua a produrre effetti giuridici. Si tratta di un aspetto di grande rilevanza, soprattutto considerando che la procedura di certificazione può durare anche oltre 150 giorni. Per questo, sarebbe auspicabile un chiarimento esplicito in sede normativa o prassi secondaria, così da consolidare l’efficacia di questo strumento anche in caso di ritardi o sovrapposizioni temporali con l’attività ispettiva.
L’integrazione tra giurisprudenza e prassi ministeriale conferisce maggiore certezza del diritto in materia di crediti d’imposta, rafforza l’efficacia delle certificazioni tecniche e segna una svolta culturale: dalla presunzione di abuso alla valorizzazione della compliance tecnica e qualificata come forma evoluta di autodifesa del contribuente.

G.U. n. 144 del 21 giugno 2022 (art. 23), 

G.U. n. 258 del 4 novembre 2023.

Mimit.gov.it